American Vandal

Inauguro il blog con una delle ultime serie che ho visto. Non è una serie recente ma ha attirato la mia attenzione perché il titolo echeggia alcune più famose come American Horror Story o ancor più American Crime Story ma quel “vandal” mi ha dato l’idea di qualcosa di ironico, come una sorta di parodia. Una piccola specifica: non amo le parodie, mi danno l’impressione di mancanza di originalità ma, per contro, apprezzo l’ironia e volevo capire quale direzione volesse prendere questa serie. Non ho letto molto prima di guardarla: il trailer mi sembrava qualcosa di molto demenziale ma il sapere che era stata candidata a un Emmy ha fatto scattare la scintilla, non tanto per la nomination quanto perché le due cose stonavano nella mia testa.

Presentazione di base: American Vandal è una serie in due stagioni, 2017 e 2018 potete trovarla su Netflix. Durata media di un episodio è circa 40 minuti, ogni stagione è composta da 8 episodi. Genere: mockumentary. È uno dei generi che preferisco per la sua parvenza di oggettività, per il fatto che, per una buona riuscita, i personaggi devono essere ben caratterizzati e richiede una recitazione “naturale” da parte degli attori, che interagiscono con la telecamera come se fosse un personaggio. Alcuni esempi di mockumentary che se non avete visto potete recuperare: Modern FamilyZelig, This is Spinal Tap, Death to 2020, Parks & Recreation, The Blairwitch Project, molti prodotti di Ricky Gervais come Life is too short e Derek (a me manca, purtroppo, ancora The Office) e spesso i miei amati Monty Python si sono serviti del genere per i loro sketch.

Altro elemento che cattura è lo stile investigativo: due studenti di una scuola superiore, membri del giornalino scolastico, risolvono, nelle due stagioni, due casi di atti vandalici ai danni di membri della scuola. Lo spettatore conosce i dettagli dei personaggi e dei fatti insieme ai due giornalisti, con loro fa congetture ed è coinvolto nel ragionamento e nell’indagine: inciampa assieme a loro e entra a conoscenza di indizi sempre insieme a loro. Nella prima stagione i due giornalisti vogliono scoprire la verità in relazione a chi ha disegnato “piselli” sulle auto dei docenti nel parcheggio della scuola e nella seconda, visto il successo della prima che è addirittura finita su Netflix (meta-tv all’ennesima potenza, usata benissimo), sono chiamati da una ragazza di un’altra scuola a indagare su chi sia il “Bandito della Cacca” (Turd Burglar) che perseguita gli studenti. Grazie ai vari personaggi che entrano in contatto coi protagonisti scopriamo diversi punti di vista sugli avvenimenti e sulle persone e scopriamo che anche chi è più amato con la fama di “buono” cela delle falle e segreti scabrosi.

E questo ci consente di passare al terzo elemento, un livello più profondo che lo stile mockumentary riesce a catturare al meglio, forse anche più degli altri generi, è quello sociale: tutte le serie teen ben fatte rivelano i disagi dell’essere adolescenti, raccontano quanto ci si possa sentire soli e la frustrazione della ricerca continua di piacere agli altri. La serie mette in evidenza quanto tutto sia amplificato per quest’ultima generazione a causa dell’avvento dei social, che rende “obbligatorio” il pubblicare, postare, twittare costantemente la propria vita per dimostrare di essere inseriti nel contesto e di essere vivi. L’adolescenza è quella età in cui si è alla disperata ricerca di una propria identità, in cui l’apparenza è tutto ma con problemi e i disagi sono universali che si cerca di celare agli altri sguardi, come il buon Breakfast Club ha tramandato a tante generazioni: “Tutti siamo un po’ strani, solo che qualcuno di noi è più bravo a nasconderlo.”

Se non fosse abbastanza chiaro ho adorato questa serie che consiglio a chi apprezza il genere. Diverte, ha un buon ritmo e riesce bene nel lasciare sospeso lo spettatore al momento giusto con cliffhanger ben pensati e dà ottimi spunti di riflessione.