THE WIRE

Parlare di una serie come The Wire mi fa sentire piccola piccola e mi mette in soggezione, perché richiede di sviscerare talmente tanti argomenti e ha una tale complessità che si teme di tralasciare qualcosa di importante o di trattare con superficialità i vari punti. Non escludo che sarà così, ma mi impegnerò per suggerirla nel modo più sincero possibile.

The Wire è una delle prime serie TV per come le concepiamo ora, insieme a I Soprano e qualche altra che dovrò sicuramente recuperare. Uno dei primi prodotti grazie ai quali HBO ha innalzato il livello della fiction, insomma. L’autore è David Simon, già scrittore e giornalista del Baltimore Sun, e la serie è iniziata nel 2002 e finita nel 2006. 5 stagioni, tra i 10 e i 13 episodi l’una della durata di 50 minuti. Sono trascorsi 20 anni e, anche se le tecnologie sono visibilmente superate, è rimasta attualissima per tutto ciò che racconta, per come il lato umano è sondato e per le dinamiche di potere che si creano. Con il termine “wire” (microfono) si intende l’attività di intercettazione attraverso microfoni, microspie o cimici usata dalla polizia per sorvegliare i sospettati.

UN PO’ DI CORNICE

Fatta questa doverosa premessa, passiamo alla trama: protagonista della serie è Baltimora e, naturalmente, i suoi abitanti. A Baltimora i tossicodipendenti sono tantissimi, questo favorisce la crescita e l’arricchimento degli spacciatori che si dividono la città in gang rivali; la popolazione è per la maggioranza nera e povera e politicamente è storicamente democratica. In ogni stagione ci viene presentato un ambiente della società: da subito conosciamo la polizia e le bande di spacciatori, poi entriamo in contatto con i sindacati e il contrabbando dei mafiosi greci, quindi il mondo della politica, quello della scuola e per ultimo quello del giornalismo. In ogni luogo sono raccontati sia i personaggi “positivi”, con aspirazioni alte, altruisti e con una visione più aperta al sociale, e altri che approfittano del loro potere per scopi personali o prevaricare sugli altri.

CORALITÀ E PERSONAGGI

Sono tanti i personaggi di cui scopriamo il background, che impariamo a conoscere e ogni dialogo, ogni situazione, si accerta che possiamo aggiungere un tassello per arrivare a completare il ritratto. E la coralità della narrazione è uno tra i tantissimi elementi che contribuiscono alla perfezione della serie. I personaggi per i quali provare empatia sono tanti, così come quelli per i quali si prova odio. Le combinazioni dei profili hanno talmente tante sfumature tra la legalità, criminalità, altruismo o ricerca della verità a tutti i costi e da subito ho pensato di fare un diagramma cartesiano con ascisse “codice vs anarchia” e ordinate “buono vs cattivo” – peraltro ho visto che in rete è pieno di schemi simili con le polarizzazioni di Dungeons & Dragons “legale vs caotico”.  I personaggi sono costantemente messi davanti a delle scelte, che spesso rispondono al dilemma “etica vs legge” (a me è venuta in mente la tragedia greca Antigone), e quelle scelte condizionano in maniera evidente la loro crescita e il loro futuro. Ma è fondamentale sottolineare che lo spettatore stesso si trova a rispondere alla stessa domanda, a fare la stessa scelta anche nel suo quotidiano.

Come dicevo, i personaggi sono tantissimi, ma mi voglio soffermare su quelli che sono emblematici per il diagramma che ho messo in basso: McNulty è il primo protagonista, svogliato, deluso, costantemente ubriaco, donnaiolo, a livello professionale persegue senza sosta quelli che sa essere i criminali e per arrivare a loro usa qualsiasi mezzo. Daniels, tenente: per lui la legge è sopra tutto e per questo si scontra con McNulty e chi cerca scorciatoie per arrivare agli obiettivi. Stringer Bell è il primo vero “cattivo” che conosciamo: è il braccio destro del capo ma è molto più in gamba di lui, molto più organizzato e calcolatore. Omar, infine, è il più figo, l’anarchico per eccellenza perché è fuori da ogni codice se non il suo: temuto e odiato da tutti è l’unico che può permettersi una colonna sonora personalizzata, il suo arrivo è infatti preceduto dal suo fischiettare “A hunting we will go” ed è riconoscibile da lontano per il trench lungo, il fucile a pompa a tracolla e la cicatrice che gli solca la faccia. In più è uno dei pochi “bad boys” televisivi gay e questo aspetto lo rende unico, lontano dagli stereotipi.

TEMI PRINCIPALI TRATTATI

Il potere è senza dubbio il tema più sviscerato in tutte le sue forme, e la sua ricerca avviene in diversi modi: chi cerca di arrivarci tramite la violenza, chi tramite sotterfugi e chi invece onestamente, mettendosi in gioco in modo pulito, ma che però dovrà rinunciarci o scendere a compromessi. E naturalmente anche le gerarchie sono ben evidenti in ogni ambiente: le gang hanno un boss che sotto ha dei tenenti e poi soldati che popolano gli angoli delle strade. In rete sono anche presenti organigrammi delle varie organizzazioni perché, ripeto, The Wire è complessa e offre moltissimi spunti da approfondire.

La serie è cruda, spoglia ed è pervasa da pessimismo nei confronti dell’avvenire, e le parole messe in bocca a Prez: “Nessuno vince. Una parte perde più lentamente” esplicitano il concetto. I cambiamenti in positivo si trasformano in sconfitte e il futuro non è altro che un giro di ruota.

FUN FACTS

Voglio chiudere con qualche curiosità. Alcune delle persone a cui Simon si è ispirato per i personaggi, sono poi entrati nel cast, altre sono state realmente criminali, per esempio Snoop. La ragazza spacciava dall’età di 12 anni e poi fu scoperta dall’attore che ha interpretato Omar e invitata da lui a fare il provino. Stephen King ha dichiarato che il personaggio di Snoop è il villain femminile più cattivo della tv. In una scena della prima stagione, McNulty e Bunk indagano sulla scena dell’omicidio e dicono solo “cazzo” (fuck, per i puristi) per quasi 5 minuti. L’ultima è tristissima: a causa degli ascolti bassi, HBO era tentata di chiudere la serie alla fine di ogni stagione.

Crime, Drama, Vintage